FUMO PASSIVO, RICONOSCIUTA MALATTIA PROFESSIONALE AD INFERMIERA
Gli esperti sono tutti d’accordo: anche il fumo passivo può provocare danni alla salute. Se questo è vero, allora un cittadino che si ammala per aver respirato - nel luogo di lavoro - il fumo di sigarette consumate da altri, può chiedere il riconoscimento della malattia professionale.
È il ragionamento che deve aver fatto il dottor Vincenzo Turco, giudice del lavoro in servizio al Tribunale a Pisa, nello scrivere una sentenza con cui ha condannato l’Inail a riconoscere oltre tremila euro ad una infermiera che per anni aveva lavorato nel reparto di psichiatria del nosocomio di Volterra.
L’infermiera, purtroppo, non ha potuto apprendere la buona notizia, perché nel frattempo è morta, in seguito al repentino aggravarsi del suo stato di salute. I soldi andranno, comunque, agli eredi.
I fatti: la donna, nell’ottobre del 2003, aveva presentato domanda per il riconoscimento della malattia professionale, lamentando «insufficienza respiratoria cronica, antracosi polmonare, bronco-pneumopatia cronica ostruttiva».
Ma l’Inail aveva rigettato la richiesta, ritenendo che non vi fossero ragioni sufficienti per accoglierla.
Così l’infermiera, una abruzzese di 68 anni, si era rivolta all’Inas, il patronato della Cisl e, assistita dagli avvocati Umberto Cerrai e Paolo Bartalena, aveva fatto ricorso contro la decisione dell’istituto assicurativo.
Durante l’istruttoria, erano state ascoltate due colleghe della infermiera che avevano confermato come la donna, durante l’orario di lavoro, aveva respirato abbondantemente fumo prodotto dalle sigarette consumate dai pazienti presenti in quel reparto così particolare.
Il consulente tecnico, dopo gli accertamenti, aveva riconosciuto l’infermiera affetta da malattia professionale, specificando l’esistenza del nesso causale tra la malattia e l’attività professionale della donna.
La malattia – secondo la ricostruzione del consulente tecnico – sarebbe insorta tra il 2002 ed il 2003, e nel tempo si era consolidata, fino a raggiungere, nel 2006, una percentuale di invalidità del 6%.
L’Inail, dunque, è stato condannato a riconoscere la malattia professionale e a liquidare l’indennizzo previsto in questi casi, gravato dagli interessi legali maturati dal 1 gennaio del 2006.
A carico dell’istituto assicurativo anche il pagamento delle spese di lite 2.500 euro e quelle del consulente tecnico di ufficio.
«Una sentenza esemplare ed innovativa - commenta la direttrice del patronato Donatella Paolinelli – che riconosce un principio che, in futuro, potrebbe essere applicato anche per simili situazioni». E che trova conferma in un’altra sentenza (del giorno successivo) con cui la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso analogo.